PROLOGO: Computer
Bitz H&SR, 2110 Grand Concourse, Bronx,
Il motto di questo esercizio era “Se non siamo aperti, è perché il mondo
sta finendo!”
Combiz, come lo chiamavano i suoi clienti più affezionati, era subito partito
con le migliori intenzioni ed un rischioso grosso investimento, dieci anni fa.
Aderendo più tardi al programma Business Improvement District , Combiz si era
fatto la migliore pubblicità con la donazione a beneficio dei programmi di
ristrutturazione ospedaliera e per il trasporto pubblico. Oggi erano tempi difficili,
vero, ma i clienti non mancavano e le vendite compensavano bene gli sconti. Il
segreto era l’assistenza, come diceva il proprietario e fondatore, Arnold
Ponzio. Per qualche ragione conosciuta solo alle superiori divinità del caos,
l’utente medio aveva dei problemi gravi con il suo computer nelle ore notturne
e nei giorni festivi. Soccorrerlo tempestivamente faceva la differenza per un
Hardware & Software Retail.
Questa sera, tuttavia, nessuno era presente per soccorrere Arnold Ponzio ed
i suoi impiegati dai tre rapinatori in passamontagna, armati di fucili a canne
mozze.
“Lascia stare la cassa!” disse uno di loro, puntando l’arma ad una delle
due impiegate. “I soldi non ci interessano. E voi due secchioni! Andate in
magazzino e portate la roba al parcheggio sul retro! Fate in fretta e nessuno
si farà male!”
Anni prima, prima della riqualificazione, quei ladri non si sarebbero
minimamente preoccupati di portare il camion sul retro. E difficilmente ci
sarebbero stati sopravvissuti fra il personale entro due minuti dall’irruzione.
Ma ora la polizia era più presente, e se non fosse bastato il proliferare di
vigilantes in calzamaglia, c’era il rischio che fra i clienti ci potesse essere
un mutante.
Per ovviare a tutti questi inconvenienti, i rapinatori avevano studiato per
un mese il negozio ed i suoi dintorni con una diligenza degna del migliore
ufficio investigativo. Si erano preparati perché il colpo durasse non più di
trenta minuti nel momento di calma piatta, nel cuore della notte, il giorno
della consegna del nuovo materiale. E che le telecamere a circuito chiuso li
registrassero pure: erano tutti e cinque (inclusi i complici nel furgone) di
identica corporatura, vestivano allo stesso modo (maglietta nera, pantaloni
neri, scarpe da ginnastica nere e impermeabili neri) e uno solo di loro
parlava, in un inglese senza accento.
E cosa poteva andare storto?, si chiedevano i due ladri intenti a caricare
casse di materiale con l’’aiuto’ dei commessi.
Ovviamente, stavano per scoprirlo…
MARVELIT presenta
Episodio 4 - I Cacciatori della Notte
Di Valerio Pastore (victorsalisgrave@yahoo.it)
“Bene così!” Fece uno dei due, chiudendo una porta del furgone. “Abbiamo
quello che volevamo. Voi secchioni, voltatevi! E se perdete un altro secondo,
siete morti, forza!” Quando gli impiegati ebbero obbedito, i due rapinatori li
stesero mollando loro un colpo al cranio con i calci delle pistole. Che avessero
visto il furgone non importava, tanto era rubato e la targa era falsa.
Un attimo dopo, dalla porta del magazzino emersero gli altri tre
rapinatori. Il capo annuì soddisfatto alla vista degli impiegati a terra. “Gli
altri sono sistemati. Ora forza, e vedete di rispettare alla lettera il codice
della strada.” Saltò sul retro insieme agli altri e poi il portello fu chiuso.
I due autisti salirono a bordo. “Soldi facili, amico! E ora*” l’ultima
parola che pronunciò da vivo fu un rantolo, quando l’oggetto che in quel
momento spaccò il parabrezza rinforzato gli si infilò nel cuore! Era accaduto
così in fretta che il suo complice al volante non capì neppure cosa fosse
successo, non realizzò neppure di essere investito da una pioggia di schegge di
vetro…
Gli ci volle qualche istante per accorgersi che c’era una specie di ombra
accovacciata sul cofano. No, non un’ombra, ma una figura femminile e muscolosa,
coperta da un costume e da un mantello con cappuccio totalmente neri –salvo per
quegli occhi gialli e cattivi…
La cosa fece saettare una mano attraverso il parabrezza, sfondandolo senza
sforzo. Gli artigli nel guanto scavarono solchi paralleli nella gola. Il
rapinatore cercò invano di tamponare gli schizzi arteriosi, mentre i suoi
polmoni si riempivano del proprio sangue…
Il primo suono di vetro infranto fece sobbalzare gli uomini nel furgone. Il
capo caricò l’arma. Fece segno ai suoi di coprirlo, mentre si preparava ad
aprire il portello. Poi udì quel suono per la seconda volta, seguito dai
rantoli di morte dell’autista. Non si erano uditi colpi di arma da fuoco, ma
non ci voleva un genio per capire che il colpo era saltato.
Il capo premette sulla barra della serratura… E la scoprì bloccata. Ci
riprovò, ma era come arrugginita.
“Che cavolo sta succedendo!?”
fece uno dei complici. Lui lo ignorò: la cosa che più lo preoccupava era che
non c’era altro modo di uscire. Il carico doveva essere protetto da ogni
intrusione, avevano anche applicato delle lastre di metallo alle pareti
interne…
“Jack, cristo, che diavolo sta succedendo!?”
la voce dell’uomo di prima era diventata stridula. Solo a quel punto, Jack si
accorse che la prima volta non aveva parlato della serratura!
Una specie di macchia si era manifestata su una parete. Una macchia
informe, come uno schizzo del più nero inchiostro. E si stava rapidamente
espandendo, emettendo tentacoli come un osceno rampicante. E più si espandeva,
più sembrava una qualche sostanza gelatinosa che…
Poi apparvero le mani. Manifestazioni
spettrali, brillanti di una sinistra luminescenza. Emersero a dozzine, dalle
pareti, dal fondo, dal soffitto afferrando in un attimo i tre banditi in un
abbraccio freddo… I tre uomini urlarono, gli occhi che roteavano impazziti.
Ogni tentativo di dimenarsi fu vano, mentre quelle orribili e gelide mani li
tenevano saldamente inchiodati dov’erano.
A quel punto, la macchia si era silenziosamente estesa fino a permettere ad
un essere umano di passarci agevolmente. E fu quello che successe: una donna
avvolta in un costume aderente blu e oro, con un blu così intenso da sembrare
nero. Il volto era coperto da una maschera metallica dello stesso colore, con
una sola apertura per gli occhi bianchi. Uuna folta chioma fluente di capelli
bianchi incorniciava la testa fino alle spalle. L’oscurità liquida si agitava
lungo le mani guantate dal dorso bianco. “Sono qui per i vostri peccati,” disse
solamente.
C’erano tre figure in costume, all’esterno del camion. Una era la donna in
nero –uno spettatore avrebbe potuto confonderla facilmente con una tetra
versione di Moon Knight. La seconda era una ragazza, lunghi capelli neri e abbigliamento
corvino dai riflessi blu fatto di giubbotto di pelle, mise ricamata da un pizzo
sul torace, gonna pure di pelle nera lunga fino alle ginocchia, dove arrivavano
un paio di stivali alti. La terza era un uomo…se si dava per buono il corpo
delineato da un costume aderente color sangue e bordato di nero, corazzato
lungo braccia, gambe e fianchi, avvolto da un ampio e frusto mantello, con un
cappuccio calcato su un volto totalmente coperto da una placca assolutamente
liscia di metallo senza alcuna apertura e tirata a specchio.
C’erano tre figure in costume, all’esterno del camion, e tutt’e tre
assistettero impassibili –o almeno, la ragazza fu l’unica a permettersi un
mezzo sorriso, quando dal veicolo giunsero le urla sempre più disperate dei
rapinatori.
Poi, si udirono i suoni delle sirene della polizia.
“Ora di tornare a casa,” disse la ragazza alla donna in nero. Questa
spalancò le braccia, e la sua cappa avvolse tutti e tre in un cono d’ombra. E
quando i riflettori delle auto delle forze dell’ordine illuminarono il vicolo,
trovarono solo un camion con due cadaveri al posto di guida.
Gli agenti che aprirono il portello si trovarono di fronte a qualcosa di
indescrivibile. Uno dei due, una recluta fresca di accademia, cadde in
ginocchio a terra, vomitando anche l’anima. Il suo collega, newyorchese duro e
puro con venticinque anni di servizio, che nell’armadietto teneva una foto di
sé stesso mentre puntava la sua pistola d’ordinanza contro Dragon Man, era
incapace di distogliere lo sguardo da quel mostruoso carnaio. Le due luci
installate brillavano di un cupo colore rosso, come quello del sangue spalmato
su di esse. Lo stesso sangue che dipingeva le pareti interne in schizzi
gocciolanti con suoni osceni…
E i pezzi. I pezzi sparsi
ovunque, viscere mescolate a frammenti di arti, mosaico impazzito che solo
vagamente ricordava che là dentro c’erano state delle persone…
L’agente William McCornick non realizzò che nel
frattempo era arrivata l’ambulanza, chiamata dal suo collega. Non realizzò
delle braccia che lo stavano afferrando per legarlo alla barella. Non realizzò
di stare urlando e piangendo, mentre biascicava delle preghiere incoerenti alle
grida…
Le due ombre apparvero all’improvviso al centro del salone. La donna in blu
emerse dalla macchia. Gli altri tre dal mantello della nera figura femminile.
“Questo è quello che chiamo un
buon inizio,” disse la ragazza alla donna in blu. “Domani stessa ora, Alice?”
Il suo abbigliamento sembrò dissolversi in un turbinio ectoplasmatico, per
essere sostituito da un abito lungo elegante da sera con borsetta. La donna in
nero si abbassò maschera e cappuccio, rivelando un volto splendido, pallido ma
non esangue. I suoi occhi erano due perle d’ambra che sembravano brillare di
luce propria, i suoi capelli nero-bluastri e tagliati a caschetto.
La donna in blu e l’uomo rimasero in costume. Andarono a sedersi in
poltrona, senza dire una parola.
La ragazza fece spallucce. “Lo prendiamo come un sì.” Si appoggiò alla
spalla della donna in nero e le baciò una guancia. “Ti dispiace se usiamo la
doccia?” chiese alla padrona di casa.
“Fate pure,” fu la laconica risposta. Quando la coppia fu uscita, la donna
guardò verso la finestra. Era ancora piena notte, dannazione. Sarebbe
volentieri uscita di nuovo a raccogliere qualche bastardo, ma…
“’Ma’ cosa, cara mia?” fece una voce fin troppo familiare. I due non
sobbalzarono neppure.
In piedi davanti al bar, intento a servirsi un bicchiere di brandy, stava
un uomo in maniche di camicia e jeans rossi color sangue. “La notte è giovane,
e ci sono tanti peccatori che aspettano di traslocare da me. E neanche io dormo mai.” Ridacchiò.
“Non intendo lasciare sole quelle due psicopatiche. La cosa ti secca?”
L’uomo mandò giù il liquido con un sorso. “Nah. Al massimo mi diverte che tu consideri svitate le tue amiche. Insomma,
siete stati tu ed il tuo tesoruccio ad invitarmi, quella notte[i].
Non loro. Oh, e Marvin sta bene, a proposito.” Si servì un altro bicchiere. Lo
mandò giù.
“Non dovevi togliergli il ricordo di noi,” disse lei, senza neanche troppa convinzione.
“E non dovevi coinvolgere Edward.” Con lo sguardo indicò l’uomo ancora in
costume.
“Be’, è stato Eddie a chiedermi che Marvin si dimenticasse di avermi mai
incontrato, ricordi?” Sul volto gli si disegnò un ghigno innaturalmente largo,
pieno di denti aguzzi. “E visto che ci ha proprio messo l’anima, in quel desiderio,
ho pensato che gli avrei fatto un favore se il vosdro biggolo sghiaveddo negro
si fosse dimenticato del tutto anche di voi. Ma se volete…”
“Lascia stare,” lo interruppe lei. “E Edward? Togliergli l’anima non è
stato abbastanza?”
Il Diavolo si posò la mano libera sul petto e sollevò solennemente quella
che ancora reggeva il bicchiere. “Colpevole di eccesso di zelo, Vostro Onore!
(Apartecheèstataunacontropartitadelsuodesiderio) Può…capitare che un umano
privato della propria anima diventi un’incarnazione, per così dire,
dell’anti-vita. Io la chiamo così, non è fico? Ad ogni modo, come ti ho detto,
il suo non è un potere come il tuo: è uno stato del non-essere. E’ una scheggia
di caos, è un portatore di sfortuna ambulante, il suo contatto fisico ti
succhia via la vita e l’anima, e i suoi occhi anziché vedere i colori del mondo
e della vita ne vedono il decadimento e la corruzione. Non avrai un migliore
segugio (a proposito, chiamarlo Orion
forse non è proprio originale, ma è forte!) a guidarti nella caccia dei
cattivoni. Te lo ricordi che non puoi usare il tuo potere sugli innocenti,
vero? E smettila di fare quella faccia, tanto lo so com’è sotto la maschera.”
“Gli hai tolto tutto quello che lo rende un essere umano. E per giunta,
finché è ridotto così…”
“A proposito, non mi avete ancora detto cosa pensate dei costumi che vi ho
fatto…”
“…non può neanche parlare,” proseguì lei ignorandolo. “Ed è tutta colpa di
quella puttana di Wicked.”
Il Diavolo sembrò deluso. “Tut-tut, cherie. Una ragazza della buona società
come te che se la prende così con la sua migliore amica.”
“E’ un mostro mutante. Ci
spillava tarocchi con i suoi schifosi ‘fantasmi’, e mi ha fatto credere che potevo evocarti per avere
soddisfatto un desiderio che mi avrebbe cambiato la vita! E almeno la notte,
intendo tenere d’occhio lei e quella psicopatica della sua amante.”
Il Diavolo sembrava estasiato. “Hmm, ecco perché eri tu la mia prima scelta, tesoruccio! Così tanto odio, tanto bel
livido rancore! Dammene ancora!” Si leccò le labbra con una lingua schifosamente
lunga e bavosa. “Ma sarò onesto, Alicia Carver: tu l’hai costretta a mentire sulla natura del suo potere: in preda ad uno
dei tuoi deliri da sballo, quegli stessi deliri che ai tuoi tieni rigorosamente
nascosti per mantenere l’immagine di brava ragazza casa&chiesa, per poco
non la ammazzavi di botte. E poi il solo ‘cambiamento’ a cui aspiravi era di
poterti sballare quanto volevi senza il down. Solo quando ci siamo trovati
faccia a faccia, ti è venuto in mente quella faccenda della cacciatrice di
talenti. E non disturbarti a mentire a te stessa, tesoro. Io ho un debole per la verità, soprattutto quella che ingrassa il
mio tornaconto.”
“Cosa mi sai dire della sua…amica?”
“Quale delle due, baby? Moonhuntress
o Nadine Jackson?”
“Stai implicando che quello di Nadine sia un falso nome?”
“Tu che dici?”
“Che in fondo non me ne frega niente, a dire il vero. Se ci tiene a stare
accanto alla sua ragazza, sono cavoli suoi.”
Il Diavolo le fece ‘no-no’ col dito. “Di’ la verità, ciccina. Tu le vuoi
tenere d’occhio per trovare un modo per ucciderle. Hmph, fatica sprecata:
quelli che Wicked controlla sono veri
fantasmi, anche se a questo punto dovresti averlo percepito. Insomma, il tuo potere
dovrebbe esserti di aiuto in questo senso. E quanto a Moonhuntress, be’, anche
se io sono io non mi va di fare a botte con il suo nume protettore.”
“Di cosa parli?”
“Davvero ti è sfuggito?” Il Diavolo era perplesso. “Hm, che gran figlio di
cagna.”
“Chi?”
Lei e ‘Nadine’ erano quanto rimaneva della precedente formazione del Night
Shift.
E, onestamente, quella banda di perdenti non le sarebbe mancata. Non che
l’idea non le piacesse, dare la caccia ai criminali senza troppi freni per il
cosiddetto ‘bene comune’, ma onestamente a loro due non bastava. Non bastava a
Nadine, che era una cacciatrice fin nel midollo. Non bastava a lei, che vivendo
giorno per giorno a contatto con gli spiriti delle vittime delle ingiustizie
irrisolte non sopportava di dovere fare la ‘sceriffa’ e limitare il campo
d’azione a qualche bastardo scelto per ragioni di convenienza.
No, entrambe volevano il sangue
dei vermi che infestavano la società. E quel Orion sembrava davvero il migliore
per trovarli. Poteva persino sopportare quella snob di Alice se ogni
pattugliamento notturno portava a dei risultati…
A dire il vero, avrebbe potuto sopportare di tutto fin quando fosse stata
accanto alla sua donna. Dio, da quando aveva deciso di mettersi su quella
tutina nera che le calzava come un guanto era diventata se possibile ancora più
sexy, la sua*
Il cambiamento fu, come la prima volta, così brusco da sconcertarla: un
attimo prima, se ne stava stretta alla sua compagna, lasciando che i getti
d’acqua dell’idromassaggio le accarezzassero dolcemente.
Un attimo dopo, si ritrovava fra le braccia di una specie di enorme licantropo, nudo, un maschio per giunta!
Il suo pelo era rado, bianco, il muso affilato più simile a quello di uno
sciacallo che quello di un lupo. L’acqua si infrangeva in milioni di goccioline
scintillanti sul suo corpo.
La prima volta, Jennifer per poco non aveva avuto un infarto per la paura.
Solo per il puro terrore era riuscita a spingere via la creatura. Adesso,
sospirò rassegnata. “Cosa vuoi, Wepwawet?”
L’entità la scosto delicatamente. I suoi occhi dorati severi la fissarono
per la prima volta con preoccupazione da quando si erano visti la prima volta.
“Sono ancora una volta giunto per mettervi in guardia: stai giocando una
partita estremamente pericolosa. Per quanto non fosse nelle tue intenzioni, ora
Alice Carver e Edward Foster sono pedine di Mefisto,
adesso. La tua sete di sangue non dovrebbe coinvolgere il mio avatar.”
Jennifer si sedette. Squadrando il canino dio dalla testa ai piedi, disse,
“Tu sei un dio, no? Che paura può
farti un diavolo? Hai paura che ti rubi l’anima?”
“Mefisto non è una divinità: è l’incarnazione del male.” L’essere si
trasformò in un cane quadrupede dalle ampie orecchie. Si appoggiò con le zampe
anteriori alle cosce di lei. “Il mio vecchio nemico, Set, è un dio antico, la cosa che più si avvicina all’onnipotenza,
e Mefisto potrebbe combatterlo con qualche possibilità di successo.”
“E allora perché non recluti Mefisto, invece di perseguitare Nadine?”
“Disprezzi così tanto la sua natura da non volerla chiamare in altro modo?”
“Lupa è il nome che le fu dato
dalla gente ignorante. E io non nego affatto la sua natura! Vorrei solo che la
lasciassi in pace!”
“Lei ha accettato la mia benedizione di sua spontanea volontà, e dovrà
servirmi, ridarmi la mia forza in vista dello scontro finale con il Serpente.
Sarà tua scelta essere al suo fianco.”
“Un paio di mani extra fanno sempre comodo, vero?” Sobbalzò. “E non
provarci mai più!”
Il cane bianco ritirò la lingua dal suo seno. “Lei non è così restia,
mortale. E un giorno figlierà la nostra prole. Anche questo è parte del patto.”
Le nebbie avvolsero la sua figura, e un attimo dopo Nadine Jackson era tornata.
“Avrei preferito che non lo sapessi, non così. Non ora,” disse, allungando una
mano al rubinetto. Poi abbracciò la sua compagna, ricambiata da una stretta che
sapeva di disperazione.
“Perché hai accettato? E’ questo
che non capisco! Avevi me, e non hai bisogno di un dio egizio per farti un
costume nuovo. Io…” Nadine era speciale per lei perché solo con lei poteva
permettersi di mostrare il suo lato più vulnerabile, senza per questo essere
considerata debole. La gente non aveva la minima idea di cosa significava
perdere la propria adolescenza insieme alla propria famiglia, vivere da quel
momento in compagnia di dolore, tristezza, rabbia, angoscia… Non esistevano dei
maledetti fantasmi felici.
Dopo anni di terapia, farmaci, preghiere, ricoveri, la sola cosa che
Jennifer aveva imparato era come reprimere la verità di fronte agli altri, come
nascondere ogni emozione che non fosse quella che voleva mostrare. La
chiamavano ‘Wicked’, ‘Crudele’, da molto prima che ne facesse il proprio
cognome. In quegli anni di liceo, era considerata l’inavvicinabile,
l’intoccabile a meno di non desiderare di fare una fine sgradevole. Solo con
Nadine riusciva a trovare qualche momento di pace…
“Ho avuto le mie…ragioni, per accettare. Fidati,
per favore. Ma ti prego di credermi, non c’era nulla che tu potessi fare.” Le
prese il mento fra le mani –mani umane, delicate, che ben nascondevano la forza
ferina interiore. Sì, aveva le sue ragioni per nascondere la ragione della sua
completa interiorizzazione del suo ‘io’ animale. E non intendeva aggiungere
un’altra preoccupazione alle spalle di Jennifer…
I primi raggi del sole sorsero su Manhattan. Inesorabilmente, lentamente,
per quanto mai abbastanza per Alice Carver, i veli della notte furono
squarciati dal nuovo giorno.
Nel momento in cui le finestre del suo appartamento presero fuoco sotto la
luce dell’alba, Il costume di Alice scomparve. E, ancora una volta, la
transizione la lasciò per un momento senza forze. Sarebbe di nuovo caduta in
ginocchio, sbucciandosi i suddetti, se non si fosse afferrata al parapetto.
Lanciò un’imprecazione all’indirizzo del suo ‘benefattore’. L’altra la tenne in
serbo per le sue ‘amiche’, se le avessero esaurito l’acqua calda…
Chiudendosi la porta a vetri dietro le spalle, vide che Andrew era
scomparso, naturalmente. Chissà perché si era aspettata un’eccezione, poi. E
per giunta, da brava ragazza doveva andare a trovarlo a fine giornata, giusto
in tempo per iniziare il nuovo giro di pattuglia…
“Se pesco chi ha inventato il ‘pensiero positivo’ lo uccido anche se fosse
Gesù in persona,” bofonchiò la ragazza entrando in bagno. Si spogliò rapidamente,
e guardandosi allo specchio poté almeno pensare che c’era un aspetto positivo nel diventare Mangiapeccati: foss’anche per una notte alla volta, diventava
davvero un bel pezzo di donna! Hmm, chissà se il Diavolo avesse voluto
concederle anche il desiderio di potersi togliere quel dannato costume sul
lavoro…
Il pensiero morì in fretta come era nato. Meglio affidarsi al testosterone e ad una pillola magica per convincere
i maschietti a togliersi la voglia. Entrò nella doccia. Fredda,
naturalmente. Bah, almeno mi sveglierà.
Con le scuole appena riaperte dopo il maltempo, ci sarebbe stato da fare fino
alla fine del mondo. E poi, doveva assolutamente riprovarci con quel dio
nordico di Sigmund! Quel giovanottone aveva scritto ‘sesso’ su tutto il torace,
ma era più virtuoso di un pretino e poi stava sempre dietro a proteggere quella
spostata anoressica di sua sorella…
Alice era appena riuscita ad insaponarsi, quando sentì il campanello.
“Fantastico!” sibilò. Meglio che non fossero quelle due, o anche senza poteri avrebbe
fatto un maledetto scempio!
Allungò una mano dalla cabina, prese un asciugamano e se lo avvolse addosso
sommariamente. Avevano smesso di suonare. Sarà
stato josh? Joshua, il portiere, tuttavia non era il tipo da scherzi
mattutini. E lui stesso non si prodigava a stare nelle vicinanze di lei, anzi
era molto se le dava il saluto e lei ne era ben felice.
Con questi felici pensieri, aprì la porta e si trovò di fronte “Mamma?”
La signora in questione avrebbe potuto essere un’icona pubblicitaria delle
Barbie, dai capelli così biondi da fare male a guardarli, occhi azzurrissimi,
volto a cuore e un sorriso magari ottimo per i cocktail parti, ma decisamente
inquietante. Per un momento, Alice fu tentata di dire ‘Ti ho riconosciuto’. Ma
questo diavolo purtroppo non era il principe del male. Marcia Tennessee Carver
entrò come un ciclone profumato, seguita da una preoccupante schiera di
fattorini e relativi carrelli carichi all’inverosimile. “Scusami per l’orario,
cara, anche a me fa venire le rughe!” Poi, ignorando l’allibita figliola, diede
disposizioni in tono secco ai fattorini per la disposizione dei bagagli. “Prega
che non trovi disordine in camera mia, ragazzina. E’ stato un viaggio tremendo per venire qui in tutta fretta.
Tuo padre ti ha già contattata? No? Bene, ti dirà un sacco di menzogne per
reclamare questo appartamento, ma l’ho intestato apposta a te e tu stai
ospitando la tua povera madre che tanto ti ama e che è perseguitata da quel
branco di serpenti velenosi che sono i suoi avvocati!” fece quella sfuriata in
un crescendo di ira che minacciava di distruggere i frutti del suo chirurgo estetico.
Alice era sicura che da un momento all’altro i suoi capelli sarebbero diventati
una massa di cobra.
La donna si adagiò sulla poltrona preferita del Diavolo. “Hai cominciato a
darci dentro con gli alcolici, signorina?” disse in tono di disapprovazione,
servendosi del brandy.
“Amici,” fu la risposta. Improvvisamente, Alice sentì la mancanza del suo
nefasto patron.
“Dovrai presentarmeli.” Bevve un sorso e ritrovò il sorriso. “Sai, avremo
un sacco di cui parlare, tesoro. Con
il divorzio e tutto, dovremo passare parecchio tempo insieme prima che mi trovi
un posto decente dopo che quel verme mi avrà succhiato ogni centesimo che potrà.
Ma come sei pallida, lo sai che dovresti dormire di più vero?” E giù un altro
sorso. Alice ricordò vagamente che sua madre era un ex-alcolista. Fino ad ora,
almeno. Forse.
Sì, doveva dare una chiamata a Mefisto…