PROLOGO: Computer Bitz H&SR, 2110 Grand Concourse, Bronx, Manhattan, New York

 

Il motto di questo esercizio era “Se non siamo aperti, è perché il mondo sta finendo!”

Combiz, come lo chiamavano i suoi clienti più affezionati, era subito partito con le migliori intenzioni ed un rischioso grosso investimento, dieci anni fa. Aderendo più tardi al programma Business Improvement District , Combiz si era fatto la migliore pubblicità con la donazione a beneficio dei programmi di ristrutturazione ospedaliera e per il trasporto pubblico. Oggi erano tempi difficili, vero, ma i clienti non mancavano e le vendite compensavano bene gli sconti. Il segreto era l’assistenza, come diceva il proprietario e fondatore, Arnold Ponzio. Per qualche ragione conosciuta solo alle superiori divinità del caos, l’utente medio aveva dei problemi gravi con il suo computer nelle ore notturne e nei giorni festivi. Soccorrerlo tempestivamente faceva la differenza per un Hardware & Software Retail.

Questa sera, tuttavia, nessuno era presente per soccorrere Arnold Ponzio ed i suoi impiegati dai tre rapinatori in passamontagna, armati di fucili a canne mozze.

“Lascia stare la cassa!” disse uno di loro, puntando l’arma ad una delle due impiegate. “I soldi non ci interessano. E voi due secchioni! Andate in magazzino e portate la roba al parcheggio sul retro! Fate in fretta e nessuno si farà male!”

Anni prima, prima della riqualificazione, quei ladri non si sarebbero minimamente preoccupati di portare il camion sul retro. E difficilmente ci sarebbero stati sopravvissuti fra il personale entro due minuti dall’irruzione. Ma ora la polizia era più presente, e se non fosse bastato il proliferare di vigilantes in calzamaglia, c’era il rischio che fra i clienti ci potesse essere un mutante.

Per ovviare a tutti questi inconvenienti, i rapinatori avevano studiato per un mese il negozio ed i suoi dintorni con una diligenza degna del migliore ufficio investigativo. Si erano preparati perché il colpo durasse non più di trenta minuti nel momento di calma piatta, nel cuore della notte, il giorno della consegna del nuovo materiale. E che le telecamere a circuito chiuso li registrassero pure: erano tutti e cinque (inclusi i complici nel furgone) di identica corporatura, vestivano allo stesso modo (maglietta nera, pantaloni neri, scarpe da ginnastica nere e impermeabili neri) e uno solo di loro parlava, in un inglese senza accento.

E cosa poteva andare storto?, si chiedevano i due ladri intenti a caricare casse di materiale con l’’aiuto’ dei commessi.

Ovviamente, stavano per scoprirlo…

 

 

MARVELIT presenta

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Episodio 4 - I Cacciatori della Notte

Di Valerio Pastore (victorsalisgrave@yahoo.it)

 

 

“Bene così!” Fece uno dei due, chiudendo una porta del furgone. “Abbiamo quello che volevamo. Voi secchioni, voltatevi! E se perdete un altro secondo, siete morti, forza!” Quando gli impiegati ebbero obbedito, i due rapinatori li stesero mollando loro un colpo al cranio con i calci delle pistole. Che avessero visto il furgone non importava, tanto era rubato e la targa era falsa.

Un attimo dopo, dalla porta del magazzino emersero gli altri tre rapinatori. Il capo annuì soddisfatto alla vista degli impiegati a terra. “Gli altri sono sistemati. Ora forza, e vedete di rispettare alla lettera il codice della strada.” Saltò sul retro insieme agli altri e poi il portello fu chiuso.

I due autisti salirono a bordo. “Soldi facili, amico! E ora*” l’ultima parola che pronunciò da vivo fu un rantolo, quando l’oggetto che in quel momento spaccò il parabrezza rinforzato gli si infilò nel cuore! Era accaduto così in fretta che il suo complice al volante non capì neppure cosa fosse successo, non realizzò neppure di essere investito da una pioggia di schegge di vetro…

Gli ci volle qualche istante per accorgersi che c’era una specie di ombra accovacciata sul cofano. No, non un’ombra, ma una figura femminile e muscolosa, coperta da un costume e da un mantello con cappuccio totalmente neri –salvo per quegli occhi gialli e cattivi…

La cosa fece saettare una mano attraverso il parabrezza, sfondandolo senza sforzo. Gli artigli nel guanto scavarono solchi paralleli nella gola. Il rapinatore cercò invano di tamponare gli schizzi arteriosi, mentre i suoi polmoni si riempivano del proprio sangue…

 

Il primo suono di vetro infranto fece sobbalzare gli uomini nel furgone. Il capo caricò l’arma. Fece segno ai suoi di coprirlo, mentre si preparava ad aprire il portello. Poi udì quel suono per la seconda volta, seguito dai rantoli di morte dell’autista. Non si erano uditi colpi di arma da fuoco, ma non ci voleva un genio per capire che il colpo era saltato.

Il capo premette sulla barra della serratura… E la scoprì bloccata. Ci riprovò, ma era come arrugginita.

“Che cavolo sta succedendo!?” fece uno dei complici. Lui lo ignorò: la cosa che più lo preoccupava era che non c’era altro modo di uscire. Il carico doveva essere protetto da ogni intrusione, avevano anche applicato delle lastre di metallo alle pareti interne…

Jack, cristo, che diavolo sta succedendo!?” la voce dell’uomo di prima era diventata stridula. Solo a quel punto, Jack si accorse che la prima volta non aveva parlato della serratura!

Una specie di macchia si era manifestata su una parete. Una macchia informe, come uno schizzo del più nero inchiostro. E si stava rapidamente espandendo, emettendo tentacoli come un osceno rampicante. E più si espandeva, più sembrava una qualche sostanza gelatinosa che…

Poi apparvero le mani. Manifestazioni spettrali, brillanti di una sinistra luminescenza. Emersero a dozzine, dalle pareti, dal fondo, dal soffitto afferrando in un attimo i tre banditi in un abbraccio freddo… I tre uomini urlarono, gli occhi che roteavano impazziti. Ogni tentativo di dimenarsi fu vano, mentre quelle orribili e gelide mani li tenevano saldamente inchiodati dov’erano.

A quel punto, la macchia si era silenziosamente estesa fino a permettere ad un essere umano di passarci agevolmente. E fu quello che successe: una donna avvolta in un costume aderente blu e oro, con un blu così intenso da sembrare nero. Il volto era coperto da una maschera metallica dello stesso colore, con una sola apertura per gli occhi bianchi. Uuna folta chioma fluente di capelli bianchi incorniciava la testa fino alle spalle. L’oscurità liquida si agitava lungo le mani guantate dal dorso bianco. “Sono qui per i vostri peccati,” disse solamente.

 

C’erano tre figure in costume, all’esterno del camion. Una era la donna in nero –uno spettatore avrebbe potuto confonderla facilmente con una tetra versione di Moon Knight. La seconda era una ragazza, lunghi capelli neri e abbigliamento corvino dai riflessi blu fatto di giubbotto di pelle, mise ricamata da un pizzo sul torace, gonna pure di pelle nera lunga fino alle ginocchia, dove arrivavano un paio di stivali alti. La terza era un uomo…se si dava per buono il corpo delineato da un costume aderente color sangue e bordato di nero, corazzato lungo braccia, gambe e fianchi, avvolto da un ampio e frusto mantello, con un cappuccio calcato su un volto totalmente coperto da una placca assolutamente liscia di metallo senza alcuna apertura e tirata a specchio.

C’erano tre figure in costume, all’esterno del camion, e tutt’e tre assistettero impassibili –o almeno, la ragazza fu l’unica a permettersi un mezzo sorriso, quando dal veicolo giunsero le urla sempre più disperate dei rapinatori.

Poi, si udirono i suoni delle sirene della polizia.

“Ora di tornare a casa,” disse la ragazza alla donna in nero. Questa spalancò le braccia, e la sua cappa avvolse tutti e tre in un cono d’ombra. E quando i riflettori delle auto delle forze dell’ordine illuminarono il vicolo, trovarono solo un camion con due cadaveri al posto di guida.

 

Gli agenti che aprirono il portello si trovarono di fronte a qualcosa di indescrivibile. Uno dei due, una recluta fresca di accademia, cadde in ginocchio a terra, vomitando anche l’anima. Il suo collega, newyorchese duro e puro con venticinque anni di servizio, che nell’armadietto teneva una foto di sé stesso mentre puntava la sua pistola d’ordinanza contro Dragon Man, era incapace di distogliere lo sguardo da quel mostruoso carnaio. Le due luci installate brillavano di un cupo colore rosso, come quello del sangue spalmato su di esse. Lo stesso sangue che dipingeva le pareti interne in schizzi gocciolanti con suoni osceni…

E i pezzi. I pezzi sparsi ovunque, viscere mescolate a frammenti di arti, mosaico impazzito che solo vagamente ricordava che là dentro c’erano state delle persone…

L’agente William McCornick non realizzò che nel frattempo era arrivata l’ambulanza, chiamata dal suo collega. Non realizzò delle braccia che lo stavano afferrando per legarlo alla barella. Non realizzò di stare urlando e piangendo, mentre biascicava delle preghiere incoerenti alle grida…

 

200 East 66th Street, Upper East Side, Manhattan

 

Le due ombre apparvero all’improvviso al centro del salone. La donna in blu emerse dalla macchia. Gli altri tre dal mantello della nera figura femminile.

Questo è quello che chiamo un buon inizio,” disse la ragazza alla donna in blu. “Domani stessa ora, Alice?” Il suo abbigliamento sembrò dissolversi in un turbinio ectoplasmatico, per essere sostituito da un abito lungo elegante da sera con borsetta. La donna in nero si abbassò maschera e cappuccio, rivelando un volto splendido, pallido ma non esangue. I suoi occhi erano due perle d’ambra che sembravano brillare di luce propria, i suoi capelli nero-bluastri e tagliati a caschetto.

La donna in blu e l’uomo rimasero in costume. Andarono a sedersi in poltrona, senza dire una parola.

La ragazza fece spallucce. “Lo prendiamo come un sì.” Si appoggiò alla spalla della donna in nero e le baciò una guancia. “Ti dispiace se usiamo la doccia?” chiese alla padrona di casa.

“Fate pure,” fu la laconica risposta. Quando la coppia fu uscita, la donna guardò verso la finestra. Era ancora piena notte, dannazione. Sarebbe volentieri uscita di nuovo a raccogliere qualche bastardo, ma…

“’Ma’ cosa, cara mia?” fece una voce fin troppo familiare. I due non sobbalzarono neppure.

In piedi davanti al bar, intento a servirsi un bicchiere di brandy, stava un uomo in maniche di camicia e jeans rossi color sangue. “La notte è giovane, e ci sono tanti peccatori che aspettano di traslocare da me. E neanche io dormo mai.” Ridacchiò.

“Non intendo lasciare sole quelle due psicopatiche. La cosa ti secca?”

L’uomo mandò giù il liquido con un sorso. “Nah. Al massimo mi diverte che tu consideri svitate le tue amiche. Insomma, siete stati tu ed il tuo tesoruccio ad invitarmi, quella notte[i]. Non loro. Oh, e Marvin sta bene, a proposito.” Si servì un altro bicchiere. Lo mandò giù.

“Non dovevi togliergli il ricordo di noi,” disse lei, senza neanche troppa convinzione. “E non dovevi coinvolgere Edward.” Con lo sguardo indicò l’uomo ancora in costume.

“Be’, è stato Eddie a chiedermi che Marvin si dimenticasse di avermi mai incontrato, ricordi?” Sul volto gli si disegnò un ghigno innaturalmente largo, pieno di denti aguzzi. “E visto che ci ha proprio messo l’anima, in quel desiderio, ho pensato che gli avrei fatto un favore se il vosdro biggolo sghiaveddo negro si fosse dimenticato del tutto anche di voi. Ma se volete…”

“Lascia stare,” lo interruppe lei. “E Edward? Togliergli l’anima non è stato abbastanza?”

Il Diavolo si posò la mano libera sul petto e sollevò solennemente quella che ancora reggeva il bicchiere. “Colpevole di eccesso di zelo, Vostro Onore! (Apartecheèstataunacontropartitadelsuodesiderio) Può…capitare che un umano privato della propria anima diventi un’incarnazione, per così dire, dell’anti-vita. Io la chiamo così, non è fico? Ad ogni modo, come ti ho detto, il suo non è un potere come il tuo: è uno stato del non-essere. E’ una scheggia di caos, è un portatore di sfortuna ambulante, il suo contatto fisico ti succhia via la vita e l’anima, e i suoi occhi anziché vedere i colori del mondo e della vita ne vedono il decadimento e la corruzione. Non avrai un migliore segugio (a proposito, chiamarlo Orion forse non è proprio originale, ma è forte!) a guidarti nella caccia dei cattivoni. Te lo ricordi che non puoi usare il tuo potere sugli innocenti, vero? E smettila di fare quella faccia, tanto lo so com’è sotto la maschera.”

“Gli hai tolto tutto quello che lo rende un essere umano. E per giunta, finché è ridotto così…”

“A proposito, non mi avete ancora detto cosa pensate dei costumi che vi ho fatto…”

“…non può neanche parlare,” proseguì lei ignorandolo. “Ed è tutta colpa di quella puttana di Wicked.”

Il Diavolo sembrò deluso. “Tut-tut, cherie. Una ragazza della buona società come te che se la prende così con la sua migliore amica.”

“E’ un mostro mutante. Ci spillava tarocchi con i suoi schifosi ‘fantasmi’, e mi ha fatto credere che potevo evocarti per avere soddisfatto un desiderio che mi avrebbe cambiato la vita! E almeno la notte, intendo tenere d’occhio lei e quella psicopatica della sua amante.”

Il Diavolo sembrava estasiato. “Hmm, ecco perché eri tu la mia prima scelta, tesoruccio! Così tanto odio, tanto bel livido rancore! Dammene ancora!” Si leccò le labbra con una lingua schifosamente lunga e bavosa. “Ma sarò onesto, Alicia Carver: tu l’hai costretta a mentire sulla natura del suo potere: in preda ad uno dei tuoi deliri da sballo, quegli stessi deliri che ai tuoi tieni rigorosamente nascosti per mantenere l’immagine di brava ragazza casa&chiesa, per poco non la ammazzavi di botte. E poi il solo ‘cambiamento’ a cui aspiravi era di poterti sballare quanto volevi senza il down. Solo quando ci siamo trovati faccia a faccia, ti è venuto in mente quella faccenda della cacciatrice di talenti. E non disturbarti a mentire a te stessa, tesoro. Io ho un debole per la verità, soprattutto quella che ingrassa il mio tornaconto.”

“Cosa mi sai dire della sua…amica?”

“Quale delle due, baby? Moonhuntress o Nadine Jackson?”

“Stai implicando che quello di Nadine sia un falso nome?”

“Tu che dici?”

“Che in fondo non me ne frega niente, a dire il vero. Se ci tiene a stare accanto alla sua ragazza, sono cavoli suoi.”

Il Diavolo le fece ‘no-no’ col dito. “Di’ la verità, ciccina. Tu le vuoi tenere d’occhio per trovare un modo per ucciderle. Hmph, fatica sprecata: quelli che Wicked controlla sono veri fantasmi, anche se a questo punto dovresti averlo percepito. Insomma, il tuo potere dovrebbe esserti di aiuto in questo senso. E quanto a Moonhuntress, be’, anche se io sono io non mi va di fare a botte con il suo nume protettore.”

“Di cosa parli?”

“Davvero ti è sfuggito?” Il Diavolo era perplesso. “Hm, che gran figlio di cagna.”

“Chi?”

 

Lei e ‘Nadine’ erano quanto rimaneva della precedente formazione del Night Shift.

E, onestamente, quella banda di perdenti non le sarebbe mancata. Non che l’idea non le piacesse, dare la caccia ai criminali senza troppi freni per il cosiddetto ‘bene comune’, ma onestamente a loro due non bastava. Non bastava a Nadine, che era una cacciatrice fin nel midollo. Non bastava a lei, che vivendo giorno per giorno a contatto con gli spiriti delle vittime delle ingiustizie irrisolte non sopportava di dovere fare la ‘sceriffa’ e limitare il campo d’azione a qualche bastardo scelto per ragioni di convenienza.

No, entrambe volevano il sangue dei vermi che infestavano la società. E quel Orion sembrava davvero il migliore per trovarli. Poteva persino sopportare quella snob di Alice se ogni pattugliamento notturno portava a dei risultati…

A dire il vero, avrebbe potuto sopportare di tutto fin quando fosse stata accanto alla sua donna. Dio, da quando aveva deciso di mettersi su quella tutina nera che le calzava come un guanto era diventata se possibile ancora più sexy, la sua*

Il cambiamento fu, come la prima volta, così brusco da sconcertarla: un attimo prima, se ne stava stretta alla sua compagna, lasciando che i getti d’acqua dell’idromassaggio le accarezzassero dolcemente.

Un attimo dopo, si ritrovava fra le braccia di una specie di enorme licantropo, nudo, un maschio per giunta! Il suo pelo era rado, bianco, il muso affilato più simile a quello di uno sciacallo che quello di un lupo. L’acqua si infrangeva in milioni di goccioline scintillanti sul suo corpo.

La prima volta, Jennifer per poco non aveva avuto un infarto per la paura. Solo per il puro terrore era riuscita a spingere via la creatura. Adesso, sospirò rassegnata. “Cosa vuoi, Wepwawet?”

L’entità la scosto delicatamente. I suoi occhi dorati severi la fissarono per la prima volta con preoccupazione da quando si erano visti la prima volta. “Sono ancora una volta giunto per mettervi in guardia: stai giocando una partita estremamente pericolosa. Per quanto non fosse nelle tue intenzioni, ora Alice Carver e Edward Foster sono pedine di Mefisto, adesso. La tua sete di sangue non dovrebbe coinvolgere il mio avatar.”

Jennifer si sedette. Squadrando il canino dio dalla testa ai piedi, disse, “Tu sei un dio, no? Che paura può farti un diavolo? Hai paura che ti rubi l’anima?”

“Mefisto non è una divinità: è l’incarnazione del male.” L’essere si trasformò in un cane quadrupede dalle ampie orecchie. Si appoggiò con le zampe anteriori alle cosce di lei. “Il mio vecchio nemico, Set, è un dio antico, la cosa che più si avvicina all’onnipotenza, e Mefisto potrebbe combatterlo con qualche possibilità di successo.”

“E allora perché non recluti Mefisto, invece di perseguitare Nadine?”

“Disprezzi così tanto la sua natura da non volerla chiamare in altro modo?”

Lupa è il nome che le fu dato dalla gente ignorante. E io non nego affatto la sua natura! Vorrei solo che la lasciassi in pace!”

“Lei ha accettato la mia benedizione di sua spontanea volontà, e dovrà servirmi, ridarmi la mia forza in vista dello scontro finale con il Serpente. Sarà tua scelta essere al suo fianco.”

“Un paio di mani extra fanno sempre comodo, vero?” Sobbalzò. “E non provarci mai più!

Il cane bianco ritirò la lingua dal suo seno. “Lei non è così restia, mortale. E un giorno figlierà la nostra prole. Anche questo è parte del patto.” Le nebbie avvolsero la sua figura, e un attimo dopo Nadine Jackson era tornata. “Avrei preferito che non lo sapessi, non così. Non ora,” disse, allungando una mano al rubinetto. Poi abbracciò la sua compagna, ricambiata da una stretta che sapeva di disperazione.

“Perché hai accettato? E’ questo che non capisco! Avevi me, e non hai bisogno di un dio egizio per farti un costume nuovo. Io…” Nadine era speciale per lei perché solo con lei poteva permettersi di mostrare il suo lato più vulnerabile, senza per questo essere considerata debole. La gente non aveva la minima idea di cosa significava perdere la propria adolescenza insieme alla propria famiglia, vivere da quel momento in compagnia di dolore, tristezza, rabbia, angoscia… Non esistevano dei maledetti fantasmi felici.

Dopo anni di terapia, farmaci, preghiere, ricoveri, la sola cosa che Jennifer aveva imparato era come reprimere la verità di fronte agli altri, come nascondere ogni emozione che non fosse quella che voleva mostrare. La chiamavano ‘Wicked’, ‘Crudele’, da molto prima che ne facesse il proprio cognome. In quegli anni di liceo, era considerata l’inavvicinabile, l’intoccabile a meno di non desiderare di fare una fine sgradevole. Solo con Nadine riusciva a trovare qualche momento di pace…

“Ho avuto le mie…ragioni, per accettare. Fidati, per favore. Ma ti prego di credermi, non c’era nulla che tu potessi fare.” Le prese il mento fra le mani –mani umane, delicate, che ben nascondevano la forza ferina interiore. Sì, aveva le sue ragioni per nascondere la ragione della sua completa interiorizzazione del suo ‘io’ animale. E non intendeva aggiungere un’altra preoccupazione alle spalle di Jennifer…

 

I primi raggi del sole sorsero su Manhattan. Inesorabilmente, lentamente, per quanto mai abbastanza per Alice Carver, i veli della notte furono squarciati dal nuovo giorno.

Nel momento in cui le finestre del suo appartamento presero fuoco sotto la luce dell’alba, Il costume di Alice scomparve. E, ancora una volta, la transizione la lasciò per un momento senza forze. Sarebbe di nuovo caduta in ginocchio, sbucciandosi i suddetti, se non si fosse afferrata al parapetto. Lanciò un’imprecazione all’indirizzo del suo ‘benefattore’. L’altra la tenne in serbo per le sue ‘amiche’, se le avessero esaurito l’acqua calda…

Chiudendosi la porta a vetri dietro le spalle, vide che Andrew era scomparso, naturalmente. Chissà perché si era aspettata un’eccezione, poi. E per giunta, da brava ragazza doveva andare a trovarlo a fine giornata, giusto in tempo per iniziare il nuovo giro di pattuglia…

“Se pesco chi ha inventato il ‘pensiero positivo’ lo uccido anche se fosse Gesù in persona,” bofonchiò la ragazza entrando in bagno. Si spogliò rapidamente, e guardandosi allo specchio poté almeno pensare che c’era un aspetto positivo nel diventare Mangiapeccati: foss’anche per una notte alla volta, diventava davvero un bel pezzo di donna! Hmm, chissà se il Diavolo avesse voluto concederle anche il desiderio di potersi togliere quel dannato costume sul lavoro…

Il pensiero morì in fretta come era nato. Meglio affidarsi al testosterone e ad una pillola magica per convincere i maschietti a togliersi la voglia. Entrò nella doccia. Fredda, naturalmente. Bah, almeno mi sveglierà. Con le scuole appena riaperte dopo il maltempo, ci sarebbe stato da fare fino alla fine del mondo. E poi, doveva assolutamente riprovarci con quel dio nordico di Sigmund! Quel giovanottone aveva scritto ‘sesso’ su tutto il torace, ma era più virtuoso di un pretino e poi stava sempre dietro a proteggere quella spostata anoressica di sua sorella…

Alice era appena riuscita ad insaponarsi, quando sentì il campanello. “Fantastico!” sibilò. Meglio che non fossero quelle due, o anche senza poteri avrebbe fatto un maledetto scempio!

Allungò una mano dalla cabina, prese un asciugamano e se lo avvolse addosso sommariamente. Avevano smesso di suonare. Sarà stato josh? Joshua, il portiere, tuttavia non era il tipo da scherzi mattutini. E lui stesso non si prodigava a stare nelle vicinanze di lei, anzi era molto se le dava il saluto e lei ne era ben felice.

Con questi felici pensieri, aprì la porta e si trovò di fronte “Mamma?”

La signora in questione avrebbe potuto essere un’icona pubblicitaria delle Barbie, dai capelli così biondi da fare male a guardarli, occhi azzurrissimi, volto a cuore e un sorriso magari ottimo per i cocktail parti, ma decisamente inquietante. Per un momento, Alice fu tentata di dire ‘Ti ho riconosciuto’. Ma questo diavolo purtroppo non era il principe del male. Marcia Tennessee Carver entrò come un ciclone profumato, seguita da una preoccupante schiera di fattorini e relativi carrelli carichi all’inverosimile. “Scusami per l’orario, cara, anche a me fa venire le rughe!” Poi, ignorando l’allibita figliola, diede disposizioni in tono secco ai fattorini per la disposizione dei bagagli. “Prega che non trovi disordine in camera mia, ragazzina. E’ stato un viaggio tremendo per venire qui in tutta fretta. Tuo padre ti ha già contattata? No? Bene, ti dirà un sacco di menzogne per reclamare questo appartamento, ma l’ho intestato apposta a te e tu stai ospitando la tua povera madre che tanto ti ama e che è perseguitata da quel branco di serpenti velenosi che sono i suoi avvocati!” fece quella sfuriata in un crescendo di ira che minacciava di distruggere i frutti del suo chirurgo estetico. Alice era sicura che da un momento all’altro i suoi capelli sarebbero diventati una massa di cobra.

La donna si adagiò sulla poltrona preferita del Diavolo. “Hai cominciato a darci dentro con gli alcolici, signorina?” disse in tono di disapprovazione, servendosi del brandy.

“Amici,” fu la risposta. Improvvisamente, Alice sentì la mancanza del suo nefasto patron.

“Dovrai presentarmeli.” Bevve un sorso e ritrovò il sorriso. “Sai, avremo un sacco di cui parlare, tesoro. Con il divorzio e tutto, dovremo passare parecchio tempo insieme prima che mi trovi un posto decente dopo che quel verme mi avrà succhiato ogni centesimo che potrà. Ma come sei pallida, lo sai che dovresti dormire di più vero?” E giù un altro sorso. Alice ricordò vagamente che sua madre era un ex-alcolista. Fino ad ora, almeno. Forse.

Sì, doveva dare una chiamata a Mefisto…



[i] MIT Spotlight #4